#3 - Intelligenza artificiale per le Humanities
Una riflessione in tre parti sulle potenzialità della intelligenza artificiale per la ricerca e la didattica. E un paio di consigli su risorse ed eventi.
Dal LISP al prompt
Nell’articolo Artificial Intelligence and Humanities, pubblicato nel 1985 sulla rivista Computers and the Humanities, Elaine Rich prospettava le potenzialità della intelligenza artificiale (IA) per l’analisi dei testi, aggiungendo che, affinché essa potesse essere veramente efficace, avrebbe richiesto un training approfondito e specifico.
La premessa dalla quale l’articolo partiva - valida ancora oggi - è che l’intelligenza artificiale, per fornire risposte adeguate, deve saper ‘collocare’ correttamente nel suo modello linguistico le informazioni che riceve. Per permettere per esempio a un software di IA di comprendere un semplice testo in lingua inglese che descrive la situazione e le prospettive di una determinata azienda - affermava all’epoca Rich - sarebbe stato necessario addestrarlo sul lessico, la sintassi e la semantica ma anche su contenuti ‘valoriali’, come gli human goals o le logiche del work in corporations. Una volta realizzato questo training, sarebbe poi stato necessario dotarsi delle competenze necessarie per usare linguaggi di interrogazione, come LISP, per ottenere al fine l’analisi testuale desiderata.
Oggi, quarant’anni dopo questa riflessione, strumenti come ChatGPT si sono imposti nell’immaginario collettivo proprio perché hanno superato entrambe queste difficoltà. Per un verso hanno ricevuto un training vastissimo, che comprende cioè tanto gli aspetti linguistici quanto quelli valoriali. Un addestramento che permette a questi tool di contestualizzare al meglio le richieste e, dunque, di restituire risultati migliori. Per un altro, possono essere usati anche da chi non ha competenze in linguaggi specialistici perché è possibile ‘interrogarli’ come in una conversazione tra esseri umani, semplicemente cioè ponendo una domanda come avvio, un prompt.
IA e ricerca ‘aperta’: più tempo per pensare
Questa ricchezza di fonti e questa facilità di utilizzo hanno reso stimolante e semplice realizzare sperimentazioni. È cioè possibile verificare, in pochi passaggi, se l’IA è in grado di realizzare oggi quella analisi dei testi che l’articolo di Elaine Rich indicava nel 1985 come una frontiera preziosa per l’IA. Quando però, per esempio, proviamo a chiedere a ChatGPT 4 di scrivere un paper sul concetto di veritas nei dialoghi di Agostino, otteniamo un testo poco approfondito e per molti versi superficiale, che sembrerebbe scritto da chi ha letto testi generici sul tema e sull’autore in questione. La ‘colpa’ non è di ChatGPT ma del suo training; non sappiamo su quali testi sia stato addestrato ma di sicuro non conosce le maggiori linee interpretative sul pensiero di Agostino né ha dimestichezza con il linguaggio con il quale oggi si scrive un paper di storia della filosofia medievale. Per sfruttare al meglio le potenzialità della IA nella ricerca umanistica sarebbe dunque necessario immaginare un modello linguistico che assommasse, a un training generale (lessico, semantica, sintassi, etc.), un addestramento ‘verticale’, cioè su testi e contenuti che gli forniscano l’orizzonte interpretativo nel quale muoversi.
Un esempio interessante di sperimentazione in tal senso è il lavoro del 2023 di Eric Schwitzgebel, David Schwitzgebel e Anna Strasser, descritto nel contributo Creating a large language model of a philosopher. I tre ricercatori hanno prima ‘allenato’ ChatGPT3 con le opere del filosofo americano Daniel Dennett - scomparso pochi giorni fa - per poi sottoporre allo stesso Dennett e al loro modello, ‘DigiDen’, dieci domande. A un gruppo di controllo composto da tre tipologie di volontari (esperti del pensiero di Dennett, frequentatori di blog filosofici e semplici utenti) è stato chiesto di mettere a confronto le risposte per provare a individuare quali fossero quelle del vero Dennett. DigiDen ha ‘ingannato’ nella maggior parte dei casi i lettori meno esperti ma ha anche, in alcune occasioni, messo in difficoltà i più competenti (i dati di questa ricerca sono liberamente consultabili).
I risultati di questi e di altri esperimenti (come quello che genera una conversazione infinita tra le opere di Herzog e Žižek) costringono a ripensare il concetto stesso di comprensione dei testi, centrale nella ricerca scientifica di ambito umanistico. Un modello linguistico adeguatamente addestrato può infatti analizzare quantità enormi di dati testuali e bibliografici con una rapidità e una efficacia ineguagliabili da una intelligenza ‘umana’. È dunque possibile immaginare che la ricerca umanistica ‘deleghi’ alla IA i compiti di analisi testuale per poter poi investire le proprie energie - e il tempo risparmiato! - in un ripensamento collettivo di questi dati, aperti e accessibili a tutti?
IA e didattica: preparare gli studenti a nuove sfide
Le nuove tecnologie AI generative, come ChatGPT, possono essere integrate nell'ambito educativo e in una didattica ‘aperta’? Mitchel Resnick ne discute in un articolo pubblicato sulla piattaforma dedicata dal MIT alle riflessioni delle most brilliant minds sulla intelligenza artificiale generativa. Resnick sostiene la necessità che la scuola formi creative, curious, caring, collaborative human beings e che sfrutti tutti gli strumenti a sua disposizione per arrivare a questo risultato, compresa l’IA.
Da studi come quello di Resnick emerge però il rischio che chi fa formazione sfrutti la IA solo per compiti accessori, come per esempio la realizzazione di bot che interagiscano con gli studenti come dei tutor. La natura stessa della IA la rende invece una risorsa preziosa per la formazione. L’IA, soprattutto nelle sue ultime incarnazioni, è infatti una specie di enciclopedia dialogante; contiene cioè tantissime informazioni connesse tra di loro ed è possibile interrogarla come se fosse una persona con la quale interagiamo. Queste caratteristiche sono però poco utili in una didattica che procede per closed-ended problems, cioè per compiti che è possibile portare a termine con risposte precise (per esempio i quiz); in questi casi la IA è per gli studenti solo un comodo repository di possibili soluzioni. Le potenzialità della IA entrano in gioco invece sui problemi ‘aperti’, vale a dire quando agli studenti viene chiesto di esplorare un tema in tutti i suoi possibili sviluppi. In questo caso, la IA gioca le sue carte migliori: per un verso, l’immensa quantità di dati che processa e mette in connessione permette agli studenti di collegare argomenti e risorse tra di loro anche distanti; per un altro, la sua natura ‘conversazionale’ costringe gli studenti a costruire questo percorso formulando domande come se si stessero confrontando con un docente o un collega e imparando a gestire l’interazione con le risposte che la IA fornisce.
Un uso veramente ‘didattico’ della IA deve essere dunque finalizzato non solo a far prendere loro dimestichezza con quella tecnologia ma, in modo ancor più profondo, a prepararli - sostiene Resnick - a tutte le uncertain, unknown, and unpredictable challenges che li aspettano in un mondo in velocissima evoluzione, ‘allenandoli’ a interagire con uno strumento che li spinge a pensare in modo aperto.
[Pubblicazioni e progetti]
Pubblicato il nuovo numero di Schola Salernitana
È stato appena pubblicato il nuovo numero di Schola Salernitana, la rivista di studi di ambito medievistico diretta da Maria Galante e curata da Claudio Azzara, Amalia Galdi e Giuliana Capriolo con il contributo del Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell’Università di Salerno. La rivista, presente sulla piattaforma Share Press, nata dall’accordo delle università campane, è completamente open access e non richiede alcun contributo agli autori per la pubblicazione.
[Risorse ed eventi]
Formazione gratuita sull’IA generativa
Per chi volesse prendere dimestichezza con le potenzialità creative, gli aspetti normativi e i recenti trend legati alla IA, segnaliamo l’evento gratuito che l’Academy IA360 di Raffaele Gaito organizza per venerdì 17 maggio: https://gaito.link/ia360
[Risorse ed eventi]
Un tutorial di personal branding per chi fa ricerca
Nella seconda parte del nostro corso su Scienza aperta per le Humanities (i link ai video sono alla fine di questa newsletter) abbiamo analizzato diversi tool utili per chi voglia ‘aprire’ la sua ricerca. Per prima cosa, però, abbiamo parlato di come chi fa ricerca potrebbe curare la propria presenza online; ci siamo cioè chiesti se chi fa ricerca è facilmente ‘cercabile’ come dovrebbero essere tutti i dati aperti.
In questo primo video, estratto da quelle lezioni, abbiamo parlato di come essere presenti in modo coerente sulla Rete.
La prossima newsletter
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